Se serve solo a te non è femminismo

di Maddalena Vianello

L’ultimo libro di Michela Murgia – Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più – è una cassetta degli attrezzi per svelare i meccanismi più profondi che il patriarcato nutre e che si riflettono nel linguaggio. È un testo importante che mette a disposizione un doppio registro.

Un primo livello di analisi riguarda gli attacchi sessisti e violenti che tutte le donne subiscono, soprattutto se non conformi all’alveo riservato loro. Il patriarcato è radicato e radicale, non ammette defezioni e attacca senza pietà tutte coloro che lo mettono in discussione con fatti e parole. Il sistema accarezza le donne accondiscendenti, “le ancelle” che cadono nel tranello di sentirsi “le elette” e che al contrario rispondono solo alla necessità di dividere e contrapporre le donne, rafforzando così il sistema. Il patriarcato lavora con altrettanta solerzia per espellere i corpi estranei, le femministe, che a ragion veduta si sentono in diritto – e spesso in dovere – di elaborare pensiero, affermare apertamente il dissenso e condurre la rivoluzione. Contro di loro il patriarcato usa le armi della sopraffazione e dell’umiliazione, lottando contro quella catena di donne laboriose che da secoli si batte, passandosi il testimone, per cambiare il mondo e conquistare diritti che a tutte poi tocca difendere.

Proprio alla luce di tutto questo, la politica delle donne e l’esercizio del potere ricoprono un ruolo centrale. Solo rifiutando di perpetrare il sistema che le opprime, le donne possono cambiare le regole del gioco esercitando il potere “con” e non “contro”, spalancando le porte alle altre per aiutarle così a superare gli ostacoli che il sessismo frappone. Il femminismo è al servizio di tutte, mai di una sola. Peccato, che a farlo veramente siano pochissime.

foto di Chiara Pasqualini/MIP

Il secondo livello di lettura è una prova di onestà intellettuale per ciascuna di noi. Una prova complessa e a tratti stupefacente. È un viaggio dentro noi stesse alla ricerca dei fili sottili con cui il patriarcato tesse la sua tela, riuscendo a prenderci di tanto in tanto alla sprovvista o facendoci cadere nei suoi tranelli, nonostante la militanza e la guardia sempre alta. Essere femministe e affermare la propria contrarietà è faticoso, molto più che aderire alle leggi del sistema. Significa vivere contro corrente. Leggendo queste pagine è inevitabile interrogarsi su tutte quelle volte in cui abbiamo sottovalutato i dispositivi del patriarcato mentre si incuneava nelle pieghe più subdole della vita e nel nostro stesso linguaggio per svalutare le altre ad esempio, lasciando che i meccanismi divisivi permeassero fra noi. Gli uomini, al contrario, sono straordinariamente capaci di restare compatti quando conviene loro.

Ma il linguaggio è infondo così importante? Michela Murgia risponde con grande efficacia: “Sottovalutare i nomi delle cose è l’errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto quella semantica, che è una tragedia etica. (…) Sbagliare nome vuol dire sbagliare approccio morale e non capire più la differenza tra il bene che si vorrebbe e il male che si finisce per fare”.

Michela Murgia, Stai zitta, Einaudi, Torino, 2021, pp. 128

Le radici culturali del “revenge porn”

di Dafne Farussi

In queste settimane il tema del revenge porn è tornato a scuotere l’opinione pubblica grazie a un lavoro d’inchiesta di Wired Italia, con il quale sono stati denunciati una serie di canali e gruppi Telegram in cui a quanto pare, inneggiare allo stupro e al femminicidio erano pratiche all’ordine del giorno. La chat oggetto d’inchiesta, con oltre 40.000 iscritti e aperta a chiunque, aveva come scopo quello di diffondere materiale pedopornografico, video e immagini intime di donne non consensuali e scambiarsi consigli su come organizzare abusi sessuali su minori e non.

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Campagna di Non Una di Meno #NOREVENGEPORN

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Il clima “intimidatorio” sull’educazione di genere deve finire

Report_Italy_photo.JPGdi Giorgia Serughetti

Il rapporto sull’Italia del Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne (GREVIO) ha espresso un giudizio piuttosto netto sul nostro paese. Sono stati fatti degli sforzi a livello politico e normativo, ma il lavoro da fare è ancora lungi dall’essere completato se si vuole davvero affrontare il problema alla radice.

Uno degli aspetti rilevanti è la serie di osservazioni critiche che vengono fatte rispetto alle attività di prevenzione prescritte all’art. 14 della Convenzione, in particolare rispetto alla mancanza di uno sforzo serio, effettivo, all’interno delle scuole, per promuovere la lotta agli stereotipi di genere e l’educazione al rispetto delle differenze. Continua a leggere

Sulla violenza, chiediamo giustizia

MANIFESTAZIONE DONNE

foto di Tania Cristofari

di Cecilia D’Elia

Le  pagine romane de La Repubblica oggi aprono con un titolo che mi ha fatto sobbalzare: “La città delle donne, vittime”. Non perché non conosca i dati forniti dalla procura sul numero di denunce, omicidi, stupri.  Sappiamo che nel nostro paese ancora fatichiamo ad avere una fotografia veritiera di un fenomeno stabile delle nostre società (occidentali e non) come quello della violenza maschile contro le donne, di cui solo la punta dell’iceberg arriva alla denuncia o alle cronache dei giornali.

Capisco la provocazione del titolo, ma sobbalzo comunque, perché non ci sto ad una fotografia che ci consegna solo al ruolo di vittime. E non solo perché tante donne “ribelli” hanno attraversato e attraversano le strade della capitale.

E’ vero, è in corso una vera e propria guerriglia contro la nostra libertà, siamo il paese in cui diminuiscono gli omicidi mentre rimane stabile quello dei femminicidi.  Ma se siamo qui a raccontarlo è perché lo abbiamo denunciato e nominato questo fenomeno – che va dalle relazioni intime a quelle di lavoro – e ci siamo sottratte al dominio maschile. La violenza viene chiamata così, riconosciuta come tale perché abbiamo messo in crisi il patriarcato e prodotto cambiamento. Continua a leggere

Il bracconiere e la falena

il-bracconiere_00di Giorgia Serughetti

“Non ho capito subito il senso del suo soprannome, Brak, il bracconiere…”. Bracconiere è chi caccia di frodo, il cacciatore attratto dalla sensazione adrenalinica di violare le regole, di fare dispetto “a chi fa pagare un permesso per ciò che egli considera un diritto”. È colui che spara a tutto ciò che sente muoversi nel bosco, sulla montagna, verso cui non porta alcun rispetto. È colui che si nutre del potere sull’altro. E ha così già cominciato a distruggere se stesso.

Nel romanzo di Valentina Musmeci, Il bracconiere, la caccia di frodo diviene metafora per un racconto di violenza domestica. Il racconto di Bruno, uomo brutale e infantile, arrogante e manipolatorio, che agisce con modalità distruttive la relazione con Diamante. Continua a leggere

Non è il sesso, è il potere (anche se spesso è la stessa cosa)

andrew-hunt-frank-underwooddi Giorgia Serughetti

“A great man once said, everything is about sex. Except sex. Sex is about power”. È Frank Underwood, il celebre personaggio di House of Cards interpretato da Kevin Spacey, attore premio Oscar che proprio in questi giorni è al centro di uno scandalo per molestie sessuali, a indicarci – ironia della sorte – la via d’uscita dal groviglio di errori e banalità che sta segnando la fase due del caso Weinstein e dintorni.

Nella fase due, dopo lo scatenarsi di un acceso scontro di opinioni pro e contro le vittime del produttore hollywoodiano, dopo l’esplosione di denunce virtuali accompagnate dagli hashtag #meetoo e #quellavoltache, dopo timidi tentativi maschili di fare i conti con l’inveterata abitudine a prendere senza chiedere il permesso (hashtag #Ihave), dopo che l’onda partita dal mondo dello spettacolo è andata a lambire la politica dell’Unione Europea (le denunce delle eurodeputate) e di alcuni paesi (si vedano le molestie a Westminster), dopo tutto questo è cominciata la controffensiva. Continua a leggere

Lasciatele vivere: un seminario ti salva la vita

 

175102731-61a5000c-1628-432a-a010-ab97025e5055di Maddalena Vianello

“Lasciatele vivere” è una raccolta di lectio brevi sulla violenza. E per quanto il tema sia tragico, il volumetto è divertente e si fa divorare. Complice probabilmente la profonda diversità delle donne e degli uomini invitati ad intervenire e il rispetto della grazia del parlato.

Allegato si trova anche il docu-film di Germano Maccioni “Di genere umano” che ritrae e documenta questi incontri e i laboratori di discussione più ristretta.

La cosa veramente incredibile, però, è come nasce questo libro. Le lectio si sono svolte all’Università di Bologna nell’ambito del Seminario sulla violenza contro le donne, obbligatorio per tutti gli studenti e le studentesse del corso di laurea in Filosofia fra il 2013 e il 2016.

Avete capito bene: seguire il seminario era OBBLIGATORIO.

Ho dovuto chiedere conferma alla professoressa Valeria Babini che lo ha coordinato, perché facevo fatica a crederci. Continua a leggere

Debora Serracchiani, la violenza e le sfumature della condanna

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di Maddalena Vianello

“La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese”.

Mi tocca leggerla diverse volte l’affermazione che Debora Serracchiani ha pronunciato dopo l’aggressione e lo stupro di una giovane donna a Trieste.

Ci sono delle gerarchie, quindi, che fanno variare la nostra dose di disgusto per la violenza. E la variabile lungo la quale scorre il raccapriccio e la condanna è l’identità dello stupratore, in questo caso un uomo iracheno.

Debora Serracchiani ha dovuto “rettificare” con un: “Non sono razzista, ho detto una cosa evidente agli italiani”.

Per molti, come per me, a dire il vero di evidente non c’è nulla.

Allora, spulcio la sua bacheca facebook per capire meglio e un post mi viene in soccorso. Un uomo scrive: “Lo sapete che vi dico? Che Debora Serracchiani ha ragione. Il tradimento del rapporto di fiducia con chi ti ha accolto rende ogni crimine più odioso.”

Di questo si tratta, quindi: il tradimento del rapporto di fiducia, la violazione della nostra magnanima accoglienza.

Il punto non è la violenza sulle donne e le sue radici profonde, la condanna ferma senza distinzioni. La violenza non è odiosa sempre allo stesso modo. A volte lo è di più. Continua a leggere

Caro Buttafuoco, Artemisia quella notte è impazzita di dolore, non di piacere

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di Maddalena Vianello

Tutte le mattine mi aggiro per casa con la mia radiolina portatile di colore rosso. Ascolto religiosamente Radio24 da qualche tempo con una certa soddisfazione. La rassegna stampa di Alessandro Milan è sempre un ottimo antidoto per affrontare l’inizio di una nuova giornata.

E’ necessaria una breve interruzione fino alla macchina. Poi, con l’accensione del motore riparte la radio. Quando faccio tardi sopraggiunge la trasmissione di Giovanni Minoli. E proprio durante la trasmissione di Minoli qualche giorno fa qualcosa mi ha ferito l’orecchio. Forte, come un’unghia sulla lavagna.

Un’intervista a Pietrangelo Buttafuoco sul suo nuovo libro.

Titolo: “La notte tu mi fai impazzire”. Sottotitolo: “Gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore”. Edito da Skira.

Ma Agostino Tassi non era lo stupratore di Artemisia Gentileschi? Come può un uomo essere così arrogante da scrivere un libro che fin dal titolo mescoli, con una certa dose di compiacimento, i confini fra erotismo e violenza sessuale? Mi chiedo lì per lì, sperando di aver  capito male. Continua a leggere

Partiamo dall’amore. Il lavoro con le vittime di violenza

di Silvia Neonatolegg-120-2016-cover-586x800

Pubblichiamo (per gentile concessione dell’autrice), un estratto dell’articolo di Silvia Neonato contenuto nel numero speciale di Leggendaria “Se una donna dice Basta!”, pubblicato in occasione della grande manifestazione delle donne contro la violenza #NonUnaDiMeno. Nel pezzo che qui riprendiamo, due operatrici esperte ci conducono attraverso la complessità della violenza maschile contro le donne, e del lavoro quotidiano con chi la subisce. 

Dialogo con Antonella Petricone e Sara Pollice, operatrici della cooperativa sociale Be Free nata a Roma nel 2007 per combattere tratta, violenze e discriminazioni. Entrambe hanno fatto dei corsi specifici sulla violenza, o seguito seminari e laboratori su tematiche di genere per completare la propria formazione e continuano a lavorare e aggiornarsi, come molte operatrici di questo settore. Sono alla ricerca di un altro punto di vista sulla violenza di genere e la prima cosa che imparo è che gli angoli da cui guardarla sono almeno tre. Vorrei cominciare dall’approfondire qual è l’angolo da cui guardano loro, le operatrici, per capire la natura di un legame che stringe una donna a un uomo violento, un legame tanto potente da spingere molte a salire ancora una volta sull’auto dell’uomo da cui ci si è già in parte allontanate.

«C’è uno slogan molto in voga, che recita: la violenza non è amore (oppure: se ti mena non ti ama). Uno slogan del genere può essere efficace quando vai a parlare nelle scuola a ragazze e ragazzi che devono ancora cominciare una vita di relazione. Ma se tu invece usi queste due parole così nette con donne che sono da anni all’interno di una relazione con un partner violento, se dici l’amore non è violenza, la frase può diventare rischiosa e ulteriormente svilente per il suo vissuto. Continua a leggere