Cuori ribelli – Fondamentalisti, parti cesarei e ossa rotte

di Belle Minton

callie incintaArriva dalla lontana America la notizia di un gruppo religioso, “Disciples of the New Dawn”, che condanna il comportamento – cosiddetto pigro – delle donne che scelgono/subiscono un parto cesareo al posto di un ben più qualificante sfiancante purificante parto naturale. Ogni occasione è buona per stigmatizzare, in maniera esplicitamente violenta, il comportamento di queste madri cosiddette di serie b e dividere il fronte delle gestanti tra coraggiose paladine del parto naturale e una schiera di femmine pusillanimi e snaturate.
Ho avuto due bambine venute al mondo con un asettico taglio cesareo prescritto da certificato medico e da me accettato come si accetta l’antibiotico dopo i tre giorni di febbre. Mi sono detta, è necessario, si fa. Punto. È stato diverso, ma non ha distorto il senso del mio essere madre in alcun modo, nonostante io abbia avuto ben presente, da subito, che non sarei mai stata ammessa nella cerchia elitaria delle eroiche madri “naturali”. Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di fregarmene bellamente, posso dirlo con orgoglio. Ma per qualcun’altra non va così. Per esempio la mia più cara amica che c’ha perso la ragione a causa di un cesareo d’urgenza. Perché lei quei dolori li aspettava ed era convinta che attraverso quella sofferenza avrebbe messo le radici il suo essere madre. Chi ci mette in testa una cosa del genere?
Quando ero poco più che ventenne, mi ruppi un piede. Presi una storta mentre scendevo di corsa le scale. La notte fu terribile. Non potevo posare il piede neanche sul materasso. Ricordo che passai ore a piangere. Bene, in quell’occasione, a suo modo ridicola, per la prima volta mi sentii rivolgere, proprio da mia madre un inedito ammonimento:
Cerca di sopportare. Sei una donna. Come pensi di affrontare i dolori da parto?
Mi passò un lampo nella testa, in quanto donna avrei dovuto, nella mia vita, dibattermi con il dolore in modo coraggioso ed eroico. Mi sembrò assurdo e profondamente ingiusto. Pensai, Mica siamo nati per soffrire. Perché mai, poi?
All’indomani mi accompagnarono in ospedale. Uscii con la diagnosi di rottura dello scafoide e un piede ingessato. Il nesso tra una frattura e i dolori da parto, nella sua assurdità, mi restò da allora in poi sempre presente, tornandomi spesso in mente nella mia vita adulta come un paradosso inaccettabile.
Le ferite fanno male, come le ossa rotte, e piangere è giusto, come è giusto scegliere senza condizionamenti. Anche quando il cesareo non è di urgenza, anche quando si ha soltanto una paura matta del dolore. Chi può dirci il contrario?

Giulia, 40 anni, Latina

Cara Giulia,

questi sedicenti Disciples of the New Dawn” sono degli infami, per quello che affermano sul cesareo e anche su diverse altre cose. I loro proclami sono una versione particolarmente violenta della vecchia retorica del fondamentalismo patriarcale, per cui la donna che non partorisce con dolore non è una “vera” madre. È talmente evidente che si tratta di un’argomentazione funzionale alla sottomissione delle donne, totalmente priva di qualunque fondamento etico e/o scientifico, che basta questo per liquidarla.
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Di piazze, famiglie e bugie

Family-Day-2015-e1434825616678-300x160di Giorgia Serughetti

La sfortunata coincidenza di date, che ha visto in parallelo nelle piazze di Roma le manifestazioni per la Giornata mondiale per il rifugiato e la manifestazione del Family Day, sollecita qualche riflessione sui diritti che vada oltre le singole rivendicazioni. Cos’avevano in comune le due piazze? Quella antistante il Colosseo, dove si riuniva il presidio contro le stragi di migranti nel Mediterraneo, e quella di San Giovanni, in cui si gridava alla difesa dei bambini contro i pericoli dell’“ideologia gender”? In comune non avevano niente. Niente, perché la prima chiedeva diritti per tutti e tutte, qualunque sia la nazionalità e il colore della pelle, giovani e non giovani, lavoratori e lavoratrici migranti e non, chiedeva di abbattere i muri delle nostre fortezze e di fermare i nuovi muri che si vorrebbero costruire, chiedeva accoglienza e protezione per chi fugge dalle guerre. L’altra dichiarava guerra ai diritti delle minoranze, era una piazza d’odio verso le diversità, la cui copertura ideologica, la battaglia contro un fantomatico “pericolo gender”, altro non è che bugia concordata e vuotamente ripetuta. Questa seconda piazza ha piuttosto molto in comune con le manifestazioni e i presidi anti-immigrati o anti-rom o anti-prostitute, fomentati da forze politiche xenofobe e razziste. Continua a leggere

Le speranze e i colori delle donne

donne curdedi Francesca Caferri

I veli neri che volano non appena varcato il confine con il territorio controllato dai curdi, in fuga dall’Is. Il sorriso che esplode: di sollievo, di fine della tensione, di nuovo inizio. Le foto diffuse da Jack Shanine, un giornalista free lance che vive in Siria e scattate da Shervan Derwish, portavoce dell’operazione congiunta anti-Isis di YPG ed esercito libero siriano, sono arrivate sulla mia scrivania poche ore prima di intervistare a Genova, per La Repubblica delle Idee, Tawakkul Karman, attivista yemenita, premio Nobel per la Pace e voce della Primavera araba. Continua a leggere

La fuga, quaranta anni fa

di Cecilia D’Elia

lafugaUn testo teatrale degli anni settanta del secolo scorso, scritto da un’intellettuale femminista, la scrittrice e giornalista Muzi Epifani nel 1976 e oggi riproposto dalla casa editrice la mongolfiera con un’introduzione di Cristina Comencini. La fuga, questo il titolo, fotografa un momento storico ed esistenziale straordinariamente rilevante, un tempo di mutamento della coscienza delle donne e di cambiamento della politica e della società italiana.
Per il suo essere profondamente immerso in quel clima e in quel travaglio della soggettività femminile il testo è anche un documento storico importante. La sua ripubblicazione è un’occasione per avvicinarci oggi alla produzione letteraria di un’autrice originale, scomparsa nel 1984, a soli 49 anni. Continua a leggere

Ancora una volta……

di Cinzia Guido

Ancora una volta, ad urne chiuse e dati consolidati, ci troviamo a riflettere sullo spazio delle donne in politica.
L’esito consegnatoci dalle regionali (su un totale di 273 consiglieri eletti, 58 sono donne, pari a poco più del 21%) richiede un’analisi approfondita, perché dimostra che neanche le leggi regionali più avanzate riescono a far compiere passi decisivi in favore della democrazia paritaria.
Dobbiamo parlarne, perché vedere che siamo ampiamente sotto il 30% indica che quello messo in campo è insufficiente e che occorre lavorare anche su altro, oltre che sulle leggi elettorali. Continua a leggere