Non c’è più tempo. Noi siamo la cura

Pubblichiamo il documento politico dell’Assemblea della Magnolia. L’iniziativa, promossa dalla Casa internazionale delle donne di Roma, è stata sostenuta da tantissime associazioni, gruppi e singole donne, che hanno cercato insieme di individuare i nodi che il Covid-19 ha fatto prepotentemente emergere e di proporre soluzioni attente ai diritti e alle libertà delle donne.

Non c’è più tempo. Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite. Noi siamo la cura

Siamo le donne dell’Assemblea della Magnolia che si incontrano dal mese di luglio su iniziativa della Casa Internazionale delle Donne di Roma. Una pluralità di donne, tantissime e diverse, con le loro competenze e soggettività, da sempre impegnate per la libertà e l’autonomia delle donne e a praticare “la cura del vivere”, nelle esperienze personali e sociali, e nella politica.

È in ragione di questa forza che vogliamo prendere parola e contribuire alle scelte da fare oggi, per affrontare l’epidemia Covid-19, non come una “guerra da vincere” e per tornare alla “normalità”, ma come occasione per cambiare in radice noi, donne e uomini, ed il mondo in cui viviamo.  Costruendo qui e ora un futuro a misura delle necessità e all’altezza dei nostri desideri.

Con la pandemia il pianeta ha fatto sentire la sua voce.

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L’invincibile arguzia di Louisa May Alcott

di Chiara Anselmi

Quando nel 1868 Louisa May Alcott consegna all’editore il manoscritto di Piccole donne ha già trentasei anni e una lista consistente di pubblicazioni alle spalle – racconti, romanzi, fiabe – talvolta date alle stampe con uno pseudonimo perché considerati troppo audaci. Ha accettato di scrivere un libro “per signorine” per ragioni puramente economiche (la sua famiglia è cronicamente in bolletta) e di certo non si aspetta di guadagnare un posto nella storia della letteratura americana proprio con quell’opera semiautobiografica; le avventure delle sorelle March sono infatti ricalcate su ricordi dell’adolescenza sua e delle sorelle. La fama giunge totalmente inaspettata.

Non è la prima autrice di grande popolarità della sua epoca: La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe (1852) era già un enorme successo commerciale, come i romanzi di Susan Warner o Fanny Ferr. Nel 1855 lo scrittore Nathaniel Hawthorne (amico di famiglia degli Alcott e mentore di Louisa) in una lettera al suo editore le definiva “un’orda di donne scribacchine che si distinguono dagli autori maschi solo per debolezza e stupidità”, i loro romanzi “spazzatura”; e chissà se giudizi così sprezzanti non abbiano influenzato il giudizio severo con cui L. M. Alcott liquidava la propria opera.

Piccole donne non si limita però a essere un best seller: con sei riduzioni per la tv e sette per il cinema, alcuni graphic novel e un paio di anime giapponesi, si consolida come uno dei romanzi di formazione più amati e longevi di tutti i tempi.

Il profilo di Alcott è sorprendentemente poco noto e ben più complesso e insolito del romanzo che ha ispirato, viene da chiedersi come mai ancora nessuno ne abbia tratto un biopic o una serie tv.

Fortunatamente, per accostarci allo spirito irruento e anticonformista della scrittrice, possiamo approfittare di un piccolo libro: Le nostre teste audaci. Lettere dalla creatrice delle sorelle March a cura di Elena Vozzi.

Attraverso una selezione della corrispondenza con parenti, editori, amici, ammiratrici e ammiratori l’epistolario ricostruisce il mosaico di una personalità e di un’esperienza fuori dal comune.

Secondogenita di una coppia decisamente straordinaria – la madre Abigail militante per l’abolizione della schiavitù e il padre Amos Bronson filosofo trascendentalista incapace di provvedere economicamente alla famiglia – la futura scrittrice, ancora adolescente, si stabilisce coi suoi in una comune fondata dal padre i cui aderenti seguono una inflessibile dieta vegetariana, rifiutano la proprietà privata e vivono in estrema frugalità. Le privazioni mettono però a repentaglio la salute delle ragazze e dopo qualche mese gli Alcott sono costretti ad abbandonare l’esperimento utopistico. L’austerità non finisce col periodo passato nella comune: la famiglia è perseguitata dall’indigenza; per questo Louisa inizia a lavorare prestissimo accettando ogni genere di occupazione. Se le risorse economiche sono scarse altrettanto non si può dire degli stimoli intellettuali; casa Alcott è frequentata da alcune delle menti più brillanti dell’epoca, oltre a Hawthorne anche Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau e Margaret Fuller contribuiscono a forgiare il carattere anticonformista di Louisa.

Mentre è costretta a lavorare come domestica, istitutrice, infermiera, la sua produzione letteraria spazia dal racconto gotico al reportage dei mesi passati a lavorare in un ospedale per i feriti di guerra; le protagoniste dei suoi scritti meno noti infrangono tabù e combattono contro l’oppressione. Alcott sviluppa una personalità refrattaria agli stereotipi femminili dell’epoca.

Quando scrive al padre

Adoro questa sensazione d’indipendenza, e sebbene non sia facile è una vita libera, e a me piace così. Non sono abile nei lavori manuali, dunque userò la mia testa come un ariete da guerra e mi farò strada nella mischia di questo pazzo mondo.

ha ventiquattro anni e vive da sola a Boston, guadagnandosi da vivere come insegnante.

L’acume non l’abbandona mai: che contratti una percentuale con l’editore o racconti della prima riunione in cui le donne esercitano il diritto di voto, le pagine brillano della passione e dell’ironia di questa donna che considerava l’impegno politico e sociale importante quanto – se non più – del suo romanzo di maggiore successo.

Scrive così del suo libro:

L’editore l’ha trovato scialbo, io altrettanto, e nessuno dei due sperava di ricavarci granché. È venuto fuori che ci eravamo sbagliati, e da allora – anche se non mi diverte scrivere «storie edificanti» per la gioventù – continuo a farlo perché è assai remunerativo.

Cresciuta in un ambiente colto e progressista, fatica ad accettare che, pur essendo riuscita a garantire la sicurezza economica a tutta la sua famiglia e nonostante l’enorme successo, non le sia consentito di scrivere ciò che vuole:

Gli editori non vogliono saperne di lasciare a chi scrive la libertà di decidere in autonomia il finale di una storia, al contrario insistono perché venga infarcito di matrimoni un tanto al chilo, e io ancora non so bene come darmi pace.

Chiunque abbia amato Piccole donne sa che, pur costretta nei rigidi confini che le venivano imposti, Alcott non rinunciò a costruire dei personaggi che ispirassero quelle giovani donne che si aspettavano dalla vita qualcosa di più di una sontuosa cerimonia nuziale. Simone de Beauvoir, Susan Sontag, Doris Lessing, Margaret Atwood, Zadie Smith sono solo alcune delle autrici che hanno riconosciuto il loro debito nei confronti del romanzo. Alcott se ne sarebbe rallegrata: aiutare le altre donne ad aiutarsi è per lei “il miglior modo di risolvere la questione femminile”.

L’ultima versione cinematografica di Piccole donne, diretta da Greta Gerwig nel 2019, ha amplificato le connessioni tra la protagonista e la sua autrice, appassionando ragazzine e donne adulte (e anche qualche ragazzino ci si augura). Se in qualche momento della vostra vita avete desiderato di essere Jo March queste lettere vi faranno venire voglia di essere Louisa May Alcott.

Le nostre teste audaci. Lettere dalla creatrice delle sorelle March, a cura di Elena Vozzi, L’orma editore, 64 pagine, euro 7.