L’orario di lavoro casalingo delle donne diminuisce se sono senza coniuge.
Ho dovuto leggere più volte questa notizia, perché volevo proprio esserne sicura. In media, ci racconta l’Istat in una relazione fatta per la Commissione lavoro del Senato, le donne lavorano in casa oltre cinque ore al giorno se hanno figli piccoli, ma sono di più se hanno un coniuge.
E io che ho sempre pensato alle mie amiche che crescono sole i loro figli come a donne felici, ma affaticate dall’impossibilità di condividere il lavoro di cura e il lavoro domestico con il proprio partner.
Ma mi sbagliavo! Perché l’Istat mi spiega che avere un marito, o un compagno, è un ulteriore carico di lavoro. Altro che condivisione! Lo so, ci sono le eccezioni. Io ne conosco uomini che un po’ di lavoro in casa lo fanno. Ma l’Istat mi dice che sono mosche bianche.
“L’Italia è sempre stato un Paese dove l’asimmetria del lavoro familiare è alta. L’indice di asimmetria del lavoro familiare nella coppia in cui lei lavora e ha un figlio fino a sette anni è pari al 70,4%. Quello delle donne che hanno il figlio da 8 a 12 anni il 72,2%”, E se l’asimmetria è diminuita lo si deve più a “una riduzione del lavoro di cura delle donne che a un incremento di quella degli uomini.”
Ben venga che le donne italiane smettano di far trovare il piatto in tavola ai loro partner. Ma a capir bene sembra che la soluzione sia meno cura per tutti. E’ un prezzo alto da pagare. Sicuramente pesa l’assenza di un welfare adeguato, ma questo non giustifica una così radicata permanenza della divisione del lavoro sessuale in Italia. Il lavoro domestico è ancora affare di donne.
Ma gli uomini non erano cambiati? E in ogni caso, perché tante donne continuano a stirar loro le camicie?
ma certo il marito è stato tradizionalmente oggetto della maggior cura, questa stava cambiando ma soprattutto al Sud dove le donne, ancora più degli uomini, non trovano lavoro ritorna la tradizionale divisione dei ruoli. Sono una vecchia emancipazionista però penso che il lavoro (pagato) per le donne sia elemento ineliminabile di civilizzazione anna maria riviello
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Urge una riflessione e un approfondimento sul tema della “Cura”.
https://simonasforza.wordpress.com/2015/04/28/per-unetica-femminista-della-cura/
Sono in gioco fattori culturali, modelli trasmessi da secoli, che ci insegnano cosa e come essere in ogni contesto. Uomini e donne sono immersi in questo “patriarcato permanente”. Il primo passo per tentare un superamento di questo gap, credo consista nell’accorgersi di questi fattori, svelare i meccanismi e tentare di resistere. Poi naturalmente ci sono tutta una serie di ostacoli pratici che spesso ci costringono in certi ruoli. Torna in gioco il nostro farci avanti e il fatto che si conta che volenti e nolenti noi siamo disposte a immolarci. Più verosimilmente ci portano a immolarci, perché non ci sono alternative e per quella solitudine di cui parlavo. Questo per quanto riguarda la “cura” sotto il profilo pratico, familiare, quotidiano. Vorrei però fare una piccola precisazione. La “cura” di cui parla Gilligan riveste uno spettro più ampio rispetto all’accezione comune. Si tratta infatti di “attenzione”, ascolto, rispetto, empatia che sottendono le relazioni umane. E’ un accogliere tutte le voci, perché questo ci permette di tenere insieme equità e giustizia e non dissociare gli aspetti spesso contrapposti mente-corpo, ragione e sentimento, e quindi uomo-donna. Questo aspetto attiene alla vita pubblica, e ne avremmo un gran bisogno (parlando di democrazia e diritti).
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non so quanto mi convinca la cosa del “patriarcato permanente” in cui tutti saremmo immersi. credo che oggi le persone siano un po’ più libere rispetto al passato
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la strada è ancora lunga mi sa..
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Lo penso anche io, per questo i dati mi hanno colpita
Forse siamo una minoranza
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Ma si saaa che se vogliamo aiuto in casa siamo ricattabili e di sicuro non faranno bene come noi è non per tanto tempo.Come vogilono quando voglionoeì e dove vogliono LORO
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succede anche a me, e mi sono chiesta come diavolo possa essere. una prima risposta è pratica: io sono una lavoratrice autonoma che lavora a casa, lui un dipendente che lavora in ufficio. giocoforza, finisco io per occuparmi di più della casa. epperò, sono sicura che al mille per mille se la situazione fosse inversa lui si caricherebbe della cura del figlio come faccio io ma non di quella della casa (come del resto accade già oggi, quando io devo lavorare e lui è libero). per quanto ne parliamo, le cose non cambiano. le amiche finiscono per addossare la colpa a me, che non affido incarichi o non lascio fare. lui pure usa l’argomentazione che io non mi fido e non delego e voglio le cose fatte come dico io. ma è ovvio che le voglio come dico io se per lui fare la spesa significa entrare e uscire dall’unico discount aperto alle nove di sera dopo l’ufficio e tornare con wurstel e mostarda, mentre per me significa metterci due ore e comprare pesce carne uova verdure e tutto quello che serve per un’alimentazione sana di una famiglia di tre persone per una settimana. se trovate una soluzione contattatemi vi prego.
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convincilo che comprare cibo sano conviene anche a lui. A casa mia la spesa la fanno mio padre e mia madre insieme e non vanno al discount (è anche vero che sono entrambi in pensione)
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lo sa, paolo, lo sa.
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