
di Renata Pepicelli
In questi giorni in Italia negli ambienti di centro-sinistra e in certi segmenti del movimento femminista circola un generale entusiasmo per la candidatura di Kamala Harris alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Se mai i democratici vincessero le elezioni del prossimo autunno, Joe Biden condividerebbe il governo degli Usa con una donna di 55 anni, figlia di padre giamaicano e madre indiana entrambi emigrati. Se non è la prima volta che negli USA viene proposta una donna a ricoprire un tale incarico, è la prima volta che una donna “non bianca” corra per questa posizione.
Diversi politici italiani, incluso il leader del PD Nicola Zingaretti, hanno pubblicamente espresso compiacimento per questa decisione. Il rallegrarsi per scelte d’oltreoceano richiederebbe tuttavia una certa coerenza interna in questa parte di mondo. Richiederebbe che coloro che gioiscono per la candidatura di Harris ponessero immediatamente al centro del dibattito pubblico italiano la questione della riforma della cittadinanza, e a che a ciò facesse seguito un serio impegno affinché in Italia nel 2020 sia garantito il diritto di candidarsi e di eleggere i propri rappresentanti ad oltre un milione di bambini, ragazzi, giovani che, sebbene nati e/o cresciuti in Italia, non sono riconosciuti come italiani/e dalla legge a causa delle origini dei loro genitori. In Italia, in virtù di una visione legislativa superata dalla realtà dei fatti e dalle trasformazioni sociali in corso, continua a vigere una legge sulla cittadinanza anacronistica basata sullo ius sanguinis che priva molti bambini e ragazzi, che di fatto sono parte di questo paese, del diritto a essere formalmente riconosciuti come italiani. Continua a leggere