di Giorgia Serughetti
A proposito della sentenza di Trento che ha riconosciuto la doppia genitorialità a due uomini, uno padre biologico e uno no, per una coppia di gemelli nato da gestazione per altri in Canada, Letizia Paolozzi, su Dea, esprime tanta preoccupazione per la “cancellazione della madre” quanta perplessità verso le iniziative per la “proibizione generalizzata” (come quella organizzata da Se Non Ora Quando – Libere per il 23 marzo, “Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata. Una sfida mondiale”). “Piuttosto”, scrive Paolozzi, “andrebbero ascoltate con più attenzione le donne che scelgono di portare un bambino per altri, considerando che ci sono storie e bisogni diversi”.
Sulla Gpa, come su altri temi controversi che riguardano la libertà delle donne, è facile che si apra una guerra delle testimonianze, ogni volta che il conflitto tra posizioni alternative riceve nuovo impulso. Del resto non è difficile trovare una “portatrice” che racconti di aver sofferto la separazione con il neonato, o che parli della necessità di scindersi interiormente per poter recidere il legame con il nascituro; ma non è difficile nemmeno raccogliere la voce di chi ha vissuto la gestazione per altri come un’esperienza positiva, talvolta positiva solo per il ritorno economico che ne ha tratto, più spesso anche per il ritorno emotivo, e per le relazioni costruite intorno alla gravidanza e alla nascita. Per alcune, la Gpa è una pratica piena di senso, un senso diverso da quello che è stato mettere al mondo il proprio bambino o la propria bambina. Per alcune, non per tutte, ma è questa una ragione sufficiente per ignorarle? Continua a leggere