di Laura Fano
Con la voce rauca per le centinaia di piazze gremite attraversate durante la campagna elettorale, continua a ripetere il suo slogan: dalla resistenza al potere, fino a che la dignità diventi la norma. Francia Marquez è una donna nera, attivista in difesa del suo territorio minacciato dalle imprese estrattive e per questo costretta a lasciarlo nel 2014 a causa delle intimidazioni ricevute, e vincitrice nel 2018 del prestigioso premio ambientalista Goldman.
Vittima del conflitto armato, è discendente, non di schiavi – come tiene a precisare – bensì di uomini e donne libere resi schiavi. Il 19 giugno potrebbe diventare Vicepresidente della Colombia, rompendo tutti gli schemi della politica colombiana, elitaria, centralizzata e coloniale, fondata su poche ricche famiglie che si tramandano gli incarichi politici come eredità acquisite.
Il risultato elettorale di domenica, in cui Gustavo Petro e Francia Marquez hanno ottenuto il 40% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali, è un fatto storico. Lo è sicuramente per il paese, la Colombia, che ha vissuto mezzo secolo di un conflitto armato cruento, con più di 200.000 morti e 5 milioni di sfollati interni. Un paese che non ha mai avuto un governo di sinistra, saltando totalmente la stagione progressista dell’America Latina. Mentre in quasi tutti gli altri paesi della regione venivano eletti presidenti più o meno progressisti, la Colombia rimaneva governata da una élite corrotta, totalmente asservita all’agenda neoliberista.
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