L’aborto libero e gratuito in Argentina è un evento storico

di Laura Fano

All’alba di mercoledì 30 dicembre in Argentina si è realizzato un evento storico. La legge di depenalizzazione dell’aborto è stata approvata dal Senato con 38 voti a favore contro 29 contrari e 1 astensione, dopo un dibattito parlamentare durato 15 ore. Questo evento è il risultato di anni di protesta e vari tentativi legislativi falliti, ultimo dei quali quello dell’agosto 2018, quando il progetto di legge era stato bloccato proprio dal Senato. L’attuale presidente Alberto Fernandez, eletto nel dicembre 2019, aveva incluso la legalizzazione dell’aborto nella sua piattaforma elettorale e dalla sua elezione aveva spinto affinché venisse approvata in parlamento. La vittoria però si deve al movimento femminista argentino, NiUnaMenos, che da cinque anni, con la sua marea verde, inonda le strade, produce scioperi e assemblee in tutto il paese, crea sapere collettivo, e si è trasformato nel più grande e potente movimento femminista attuale, non solo nel subcontinente latino-americano, ma in tutto il mondo.

Photo: Paula Kindsvater
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La pillola RU486, la parola alle donne

ru486_0-1024x768di Maddalena Vianello

Le nuove linee del Ministero della Sanità, presieduto da Roberto Speranza, mettono la parola fine alla decennale polemica che ruota intorno alla pillola abortiva RU486, dopo la brutta pagina scritta di recente dalla Regione Umbria.

Le linee guida introducono due novità fondamentali. La prima, la pillola RU486 potrà essere somministrata senza obbligo di ricovero. Le donne potranno riceverla in day hospital, al consultorio, in ambulatorio, e dopo mezz’ora tornarsene a casa. La seconda, il periodo di possibile utilizzo viene esteso alla nona settimana di gestazione. È interessante notare come le linee guida siano state costruite, tenendo conto del parere favorevole e univoco del Consiglio superiore di Sanità e della presa di posizione della Società di ginecologia e ostetricia.

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Aborto: la prossima guerra dell’America

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Foto Marco Verch Licenza Creative Commons

di Francesca Caferri

Il paradosso vuole che a sottoscrivere la dichiarazione di guerra sia stata una donna. Nella notte fra lunedì e martedì Kay Ivey, governatrice dell’Alabama, ha firmato la legge sull’aborto più restrittiva degli Stati Uniti: quando entrerà in vigore, fra sei mesi, nello Stato del Sud degli Usa sarà vietato abortire se non in caso di rischio comprovato per la vita della donna o di anomalia letale per il feto. Nessuna eccezione sarà fatta in caso di stupro o di incesto: i medici che praticheranno aborti al di là dei limiti previsti dalla legge rischieranno fino a 99 anni di carcere. “Questa legge serve a testimoniare in modo possente la profonda convinzione della gente dell’Alabama che ogni vita è preziosa ed è un dono sacro di Dio”, ha detto Ivey. Continua a leggere

Aborto. Il governo non vede i problemi

di Cecilia D’Elia

Foto Tania Cristofari

Con ritardo, ma finalmente è stata presentata la relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 194. Sono dati relativi all’andamento delle interruzioni di gravidanza (Ivg) nel 2017.

Vediamo cosa ci dicono: le ivg diminuiscono, calano sia in termini di valore assoluto, nel 2017 sono state 80.733, sia come tasso di abortività (numero di Ivg ogni 1000 donne di 15-49 anni residenti in Italia), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, essendosi negli anni ridotta la platea delle donne potenzialmente interessata per via dell’invecchiamento della popolazione.

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Se Trump dichiara guerra all’aborto

jane Roedi Francesca Caferri

Roe contro Wade. Tenetela a mente questa espressione all’apparenza così misteriosa perché nelle prossime settimane dominerà i titoli dei giornali di tutto il mondo e polarizzerà il dibattito negli Stati Uniti. Roe contro Wade è la storica sentenza del 22 gennaio 1973 con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzò l’aborto: un punto di svolta per le donne americane, ma non solo per loro.

Nell’era di Donald Trump Roe contro Wade è ora in pericolo: nei prossimi giorni il presidente americano si prepara a indicare chi sarà il prescelto per sedere nella Corte Suprema americana come nuovo giudice al posto di Anthony Kennedy, presto in pensione. Trump ha fatto sapere che il suo candidato sarà, senza dubbio alcuno, un ultraconservatore contrario all’aborto: una dichiarazione che ha allarmato gli ambienti progressisti al pari delle mosse più reazionarie di Trump, dal muslim ban alla separazione dei bambini dai genitori ai confini degli States. Continua a leggere

Irlanda, il merito va alle donne

di Laura Fano Morrissey*

Venerdì 25 maggio è stata una giornata storica per l’Irlanda. Nessuno si sarebbe aspettato una vittoria così schiacciante del Sì, soprattutto dopo una campagna estremamente divisiva e aggressiva da parte del fronte del No.

Le scene di donne con le lacrime agli occhi hanno fatto il giro del mondo. Quelle lacrime non sorprendono chi conosce l’orribile ottavo emendamento che, equiparando il diritto alla vita del nascituro a quello della madre, di fatto spogliava ogni donna incinta di qualunque diritto. Non sorprende chi conosce la storia di questo paese, stretto per decenni tra le morse di una letale alleanza tra Stato e Chiesa, sentire donne dire: “Finalmente siamo libere”. Continua a leggere

Aborto, a cosa ha detto sì l’Irlanda

refirlandadi Cecilia D’Elia

Nel referendum per abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione, cioè il totale divieto di aborto tranne nei casi di rischio della vita per la donna, si profila una vittoria dei sì in Irlanda. E’ una svolta storica per quel paese, ma è una buona notizia per tutti noi.

Gli exit poll danno oltre il 68% al fronte del Sì in un referendum che ha diviso fortemente l’Irlanda, sostenuto da tutte le forze politiche, in primo luogo dal premier Leo Varadkar, leader di origini indiane e gay dichiarato, che sta guidando un paese in cui la difficile autonomia si è fondata sul richiamo alle radici cattoliche, sulla strada della secolarizzazione. Sembra che la grande affluenza, sostenuta anche dal #hometovote di chi è tornato a casa per votare, abbia determinato la vittoria dei Sì, mettendo fine ad un divieto che – come storicamente è sempre accaduto nei paesi in cui l’aborto è illegale – conviveva con la clandestinità per le più povere e la possibilità di andare all’estero a interrompere la gravidanza per le altre. Questa ipocrisia oggi avrà fine. Continua a leggere

Aborto, tra scelta e diritto

noi-e-il-nostro-corpo1di Cecilia D’Elia

Quarant’anni sono una soglia: non ci sono più alibi, si è decisamente nell’età adulta. E tali sono dunque quelle leggi che quest’anno entrano negli “anta”. Due in particolare videro la luce nel maggio del 1978, la legge 180, in tema di “accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, e la legge 194 sulla “tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”. La prima, che fu poi compresa nel testo istitutivo del servizio sanitario nazionale approvato a fine anno, ha posto fine a secoli di abusi e ha promosso una nuova idea di salute e di dignità della persona malata di mente. La seconda ha reso legale, entro certe condizioni, interrompere una gravidanza quando questa leda il diritto alla salute psicofisica della donna. A lei, dopo una pausa di riflessione di sette giorni, spetta la decisione su tale scelta. In entrambi i casi, nel nome del diritto alla salute, vengono meno forme di controllo statale prima in essere. Perché tale era, per esempio, quello che veniva esercitato sul corpo femminile e sulla sua capacità generativa: abortire o costringere una donna ad abortire era all’epoca un reato contro l’integrità e la sanità della stirpe, le cui pene venivano ridotte dalla metà ai due terzi se l’aborto, su donna consenziente o meno, veniva procurato per “causa di onore” (ricordiamo che il delitto d’onore sarà abolito solo nel 1981). Continua a leggere

I “pro vita”, Rosie the Riveter e le fortune del femminismo

IMG_7847di Giorgia Serughetti

“Per la salute delle donne”: così si annuncia l’iniziativa di ProVita onlus in programma oggi a Palazzo Madama, alla presenza di senatori della Lega e di Fratelli d’Italia, sul tema “le gravi conseguenze dell’aborto sul piano psichico e sanitario”. La stessa sigla che la scorsa settimana firmava a Roma il maxi-manifesto (poi rimosso) che ritraeva un feto con le scritte “tu eri così a 11 settimane” e “ora sei qui perché la tua mamma non ti ha abortito”, uno degli attacchi pubblici più violenti degli ultimi anni alle donne che interrompono la gravidanza (seguito anche da un raid di Forza Nuova alla Casa internazionale delle donne di Roma), ora si presenta come paladina del benessere femminile. Continua a leggere

Non torneremo alla clandestinità

casadonnestriscioneantiabortodi Cecilia D’Elia

Roma ferita due volte in poche ore. Prima il mega manifesto della associazione Provita su via Gregorio VII, poi, oggi, lo striscione all’ingresso della Casa internazionale delle donne: 194 strage di stato. I caratteri sono quelli noti, usati dall’estrema destra romana.

Si avvicinano i 40 anni della legge che ha legalizzato le interruzioni di gravidanza in Italia, e i toni si riaccendono, le crociate ripartono, le ideologie si rianimano. Continua a leggere