Non c’è più tempo. Noi siamo la cura

Pubblichiamo il documento politico dell’Assemblea della Magnolia. L’iniziativa, promossa dalla Casa internazionale delle donne di Roma, è stata sostenuta da tantissime associazioni, gruppi e singole donne, che hanno cercato insieme di individuare i nodi che il Covid-19 ha fatto prepotentemente emergere e di proporre soluzioni attente ai diritti e alle libertà delle donne.

Non c’è più tempo. Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite. Noi siamo la cura

Siamo le donne dell’Assemblea della Magnolia che si incontrano dal mese di luglio su iniziativa della Casa Internazionale delle Donne di Roma. Una pluralità di donne, tantissime e diverse, con le loro competenze e soggettività, da sempre impegnate per la libertà e l’autonomia delle donne e a praticare “la cura del vivere”, nelle esperienze personali e sociali, e nella politica.

È in ragione di questa forza che vogliamo prendere parola e contribuire alle scelte da fare oggi, per affrontare l’epidemia Covid-19, non come una “guerra da vincere” e per tornare alla “normalità”, ma come occasione per cambiare in radice noi, donne e uomini, ed il mondo in cui viviamo.  Costruendo qui e ora un futuro a misura delle necessità e all’altezza dei nostri desideri.

Con la pandemia il pianeta ha fatto sentire la sua voce.

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#ProssimaMente – Ripartire dalla casa, con uno sguardo nuovo

di Laura Fano

Scrivo queste riflessioni da casa, ovviamente, e le scrivo con difficoltà perché, non solo non ho “una stanza tutta per me”, ma anche perché questa casa si è trasformata in ufficio, scuola, palestra. Mai come durante questa quarantena si è reso manifesto, in tutta la sua evidenza, il nervo scoperto delle nostre società. La casa, sempre relegata nell’invisibilità, è diventata il centro della vita e della narrazione. Nella narrazione c’è una casa idealizzata, dove saremo al sicuro, dove anzi possiamo scoprire il piacere della lentezza e dell’ozio, fare pane e praticare yoga. Contro questa romanticizzazione, la quarantena ha messo a nudo le contraddizioni dello spazio-casa, che non è affatto un’unità armonica, bensì un luogo dove costantemente avviene una negoziazione per la divisione sessuale del lavoro. Il confinamento ha portato a quello che Veronica Gago ha descritto come “l’implosione della casa”, e ha messo a nudo ciò che il femminismo ha mostrato da tempo ma che si è sempre scelto di non vedere, ossia il lavoro riproduttivo svolto dalle donne gratuitamente e nell’invisibilità delle case, e che sostenta la società e l’economia. Continua a leggere

La malattia, fuor di metafora

di Redazione Femministerie

susan sontag

Susan Sontag

In questi giorni spaventosi, “notturni”, ci è venuto spontaneo e ci è sembrato utile riguardare a quel capolavoro del pensiero e della scrittura che è “Malattia come metafora” di Susan Sontag (1978). In particolare, crediamo sia interessante rileggere questo passaggio dell’introduzione che Sontag fa al suo saggio, proprio perché ci sembra che riguardi molte delle circostanze che stiamo vivendo, con particolare riferimento all’uso del linguaggio, agli stereotipi, alle figure e ai codici che giorno per giorno tanto l’informazione quanto altri tipi di comunicazione – da quella della politica ufficiale, a quella degli scambi privati – stanno mettendo in campo: Continua a leggere

Oltre la cura servile, verso la cura che serve

banksydi Giorgia Serughetti

La “Cura”, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La “Cura” lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la “Cura” pretese imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la “Cura” e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta decisione: «Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che esso vive lo possieda la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (Terra)».

La cura è ciò che dà forma all’umano: questo insegna l’antico mito narrato da Heidegger in Essere e tempo. Ed è da qui, non senza una dose di creatività metodologica, che Alessandra Sciurba prende le mosse nel suo libro La cura servile, la cura che serve (Pacini, 2015), per parlare di un’esperienza che è universale eppure sfugge da ogni parte ai tentativi di definirla una volta per tutte. Un’esperienza che è costitutiva dell’essere nel mondo, eppure dai tempi delle società schiavistiche o servili fino alla nostra modernità è stata trascurata dal pensiero, ignorata dalle riflessioni sull’agire umano, relegata a sostegno invisibile dell’esistenza visibile del cittadino (prevalentemente maschio) nello spazio pubblico. Invisibile il lavoro di cura è rimasto a lungo anche per il diritto, che ne ha fatto poi nel nostro dopoguerra un settore a parte, sottratto alle normali negoziazioni sindacali, fino ai giorni nostri in cui molti passi avanti sono stati compiuti sul piano giuridico, ma la fragilità dei diritti acquisiti si rivela in tutta la sua gravità di fronte all’ingresso massiccio di persone, per lo più donne, provenienti da altri paesi, che tende a riprodurre una gerarchia, in scala globale, tra cittadini/e e servi/e. Continua a leggere

Ma gli uomini italiani non erano cambiati?

lavoro_domesticodi Cecilia D’Elia

L’orario di lavoro casalingo delle donne diminuisce se sono senza coniuge.
Ho dovuto leggere più volte questa notizia, perché volevo proprio esserne sicura. In media, ci racconta l’Istat in una relazione fatta per la Commissione lavoro del Senato, le donne lavorano in casa oltre cinque ore al giorno se hanno figli piccoli, ma sono di più se hanno un coniuge.

E io che ho sempre pensato alle mie amiche che crescono sole i loro figli come a donne felici, ma affaticate dall’impossibilità di condividere il lavoro di cura e il lavoro domestico con il proprio partner.
Ma mi sbagliavo! Perché l’Istat mi spiega che avere un marito, o un compagno, è un ulteriore carico di lavoro. Altro che condivisione! Lo so, ci sono le eccezioni. Io ne conosco uomini che un po’ di lavoro in casa lo fanno. Ma l’Istat mi dice che sono mosche bianche. Continua a leggere