di Sara De Simone
Niente all’apparenza era legato. Sedevano separati gli uni dagli altri. E lo sforzo del legare e del fluire e del creare poggiava tutto su di lei. Di nuovo sentì, come un dato di fatto puro, non ostile, la sterilità degli uomini; perché se quello sforzo non lo faceva lei, non lo avrebbe fatto nessuno”
V. Woolf, Al faro
(trad. it. N. Fusini)
A tutti capita di ferire per errore, per incapacità, per sventatezza. Tutti siamo maldestri con le fragilità, le tenerezze altrui. Ma che qualcuno possa passare il tempo a prendere la mira, non riesco a capirlo ancora oggi. Ogni volta che lo vedo, su di me o sugli altri – questo allenamento all’umiliazione, questa muscolarità dell’offesa, questo gioco al massacro – rimango incredula, confusa, incerta. Com’è possibile studiare la ferita? Impiegare tempo, energia, pensieri per trovare la maglia più lenta, il lembo più scoperto, il punto di rottura? C’è un metodo del dolore, una tecnica della mortificazione, un sistema dell’insulto che mi sconvolge ogni volta, per quanto accada continuamente. Continua a leggere