Dopo il 4 marzo c’è l’8 marzo

8-marzodi Giorgia Serughetti

È stato scritto che in queste elezioni hanno vinto le forze anti-europeiste e populiste, il cui segno identificativo sono l’anti-elitismo o il rifiuto dell’immigrazione. Si può considerare anche come la vittoria di un fronte anti-femminista? La risposta credo debba essere: in parte sì, in parte non si sa, ma il risultato potrebbe avere un impatto non da poco sulle battaglie delle donne e delle persone Lgbti. Al tempo stesso, la crisi verticale della rappresentanza a sinistra racconta qualcosa delle nuove sfide e compiti che si aprono davanti ai movimenti femministi.

La coalizione di centrodestra ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi. La “guida elettorale femminista” redatta da Pasionaria.it basandosi sul programmi mostra qui una visione chiaramente conservatrice sul versante dei diritti sessuali e riproduttivi e dei modelli familiari. La campagna elettorale è stata all’insegna del sostegno alle madri, della promozione della natalità “italiana” (in funzione anti-immigrati), e degli assegni familiari per le famiglie formate da una mamma e un papà.

Non sono mancati poi toni omofobi in campagna elettorale. Proprio nell’evento di chiusura Matteo Salvini (assurto a leader della coalizione) se l’è presa con Elsa di “Frozen”, che potrebbe nel nuovo film innamorarsi di una donna: è “il mondo all’incontrario”, ha detto, un mondo “in cui ha più diritto l’immigrato rispetto all’italiano o in alcune scuole dicono che non c’è differenza tra maschio e femmina. Alcuni insegnanti deliranti mettono i bambini a giocare con le bambole e le bambine a calcio. Non siamo tutti indistinti e indefiniti. Io sono preoccupato e voglio intervenire prima”.

Ecco, dunque, il pericolo “gender”.

Che dire invece del Movimento 5 Stelle, altro vincitore indiscusso di questa tornata elettorale? Il programma, dice ancora la guida di Pasionaria, si concentra molto poco su pari opportunità, diritti delle donne e diritti civili in genere. Come per altri temi, anche in questo campo la politica a 5 stelle appare indefinibile. Quel poco che si dice va in una direzione “progressista” (per esempio, si menzionano indennità sia di maternità, sia di paternità, e si prevedono azioni educative in ambito scolastico contro la violenza contro le donne e le discriminazioni), ma lascia fuori i diritti delle persone Lgbti. Il Movimento si è spesso qualificato come “post”, oltre queste questioni. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, con ciò che sta accadendo a Roma dove l’esistenza degli spazi delle donne è minacciata dall’amministrazione pentastellata, c’è poco da stare allegre.

Dopo il 4 marzo, viene l’8 marzo. Un 8 marzo che sarà di lotta, di nuovo, con lo Sciopero delle donne e manifestazioni in oltre 70 città italiane, “contro la precarietà e le discriminazioni. Contro i ruoli imposti nella società fin da quando siamo piccole, contro i ricatti sul lavoro che generano molestie e violenze”. E anche per l’autonomia e libertà di scelta sulle nostre vite, la libertà di movimento, la difesa degli spazi femministi e liberati della città – si legge sul sito di Non Una di Meno.

Nel frattempo, nell’ambito di una mobilitazione che è mondiale, celebri pensatrici e attiviste come Angela Davis, Nancy Fraser, Barbara Smith, insieme a molte altre, rilanciano l’idea di un “femminismo del 99%”, un movimento delle diseredate della terra, che includa donne di tutte le “razze”, le identità di genere, e gli orientamenti sessuali; le donne della classe lavoratrice, povere, mal pagate o disoccupate, le sex worker, le migranti.

Il femminismo, in questo modo, si candida ad essere uno tra i tanti radicalismi di sinistra sconfitti in Italia e in altri paesi dall’avanzata delle destre? A me non sembra. Mi pare anzi che abbia al suo interno potenzialità enormi, in Italia forse ancora in parte inespresse, e che possa insegnare molto proprio alle sinistre.

Movimenti come quelli che hanno occupato le piazze di molti paesi del mondo negli ultimi anni, guidati da donne ma aperti a tutti i soggetti accomunati dalla precarizzazione delle vite, mostrano la potenza che può avere il discorso femminista nell’interpretare la crisi economica e sociale, a partire da una visione del lavoro che assume per tutti le caratteristiche di insicurezza, mobilità, assoggettamento, dipendenza che sono state nei secoli tipicamente sperimentate dalle donne, dentro e fuori le mura domestiche. Indicano, inoltre, la possibilità di riconoscersi come uguali e differenti al di fuori delle linee di esclusione ed inclusione – che passano attraverso i confini, la cittadinanza, l’appartenenza etnica – tracciate dall’idea di “popolo” dei populisti. Gridano che non c’è giustizia sociale senza diritti e libertà civili, per tutte e tutti.

La riflessione politica delle donne insegna come la violenza sessista e le altre forme di violenza politica che si dispiegano nel nostro tempo abbiano una radice comune, non solo nelle strutture dell’oppressione sociale, ma più in profondità nell’ideale dell’individuo che domina il nostro tempo, indisponibile a piegarsi sull’altro nell’ascolto, timoroso di mostrarsi permeabile, tutto preso nella difesa impossibile di un sé, o un noi, che si aggrappa al potere come strumento per annettere o annientare.

I femminismi, nella loro pluralità, sono perciò chiamati a svolgere un ruolo in questa fase storica, in Italia come nel resto del mondo. Sono gli unici soggetti, io credo, a poter indicare una via d’uscita dai nazionalismi, dalle spinte xenofobe, razziste e omotransfobiche, e dalla violenza in tutte le sue forme.

E allora forza, buon 8 marzo!

 

3 pensieri su “Dopo il 4 marzo c’è l’8 marzo

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