Iran, una rivolta (anche) delle donne, ma non contro il velo

irandi Francesca Caferri

Ora che il caos dei primi giorni sembra essersi placato e c’è spazio per una riflessione più pacata, è il momento di dirselo: quella a cui abbiamo assistito nelle strade dell’Iran non è stata una rivolta di genere. Non una protesta contro il velo o il patriarcato, nonostante una ragazza a capo scoperto che sventolava il suo hijab bianco ne sia diventata l’involontario simbolo. E nonostante gli inni alla liberazione delle donne iraniane di cui abbiamo letto sulle pagine dei giornali italiani.

Le donne in strada, in questi giorni, ci sono andate. E anche molto numerose. Ma bastava ascoltarle per capire. Chiedevano stipendi più alti, salari pagati con regolarità, lo stop all’inflazione e al finanziamento senza fine delle iniziative iraniane in Siria, Yemen, Libano. Le stesse richieste che facevano gli uomini. Se c’è un dato interessante da cogliere in queste rivolte è proprio questo: le richieste erano le stesse. Delle donne e degli uomini, delle cittadine e dei cittadini iraniani. Insieme.

In Iran come in buona parte del mondo arabo e musulmano, negli ultimi decenni c’è stata una rivoluzione silenziosa. La diminuzione dei tassi di natalità e l’aumento di quelli di istruzione femminile hanno portato le donne in ruoli di primo piano in moltissimi Paesi. Un fenomeno che ha un peso ancora maggiore nel caso dell’Iran, dove prima della rivoluzione khomeinista del 1979 le donne erano magistrate, avvocate, giornaliste, politiche, dirigenti. Non c’è dunque da stupirsi del fatto che le donne fossero nelle strade in questi giorni. Né tantomeno del fatto che chiedessero di vedere rispettati i loro diritti di cittadine.

Questa protesta si è giustapposta con quella contro il chador obbligatorio che da anni un gruppo di donne – per lo più provenienti da Teheran, per lo più appartenenti alla media-alta borghesia, per lo più molto esposte ai modelli occidentali – promuove. “My stealthy freedom” è il nome del movimento fondato dalla giornalista Masih Alinejad. Ogni mercoledì vede le sostenitrici portare avanti proteste simboliche a capo scoperto, come mercoledì 27 dicembre ha fatto la ragazza nel centro di Teheran che ha issato il suo hijab bianco su un bastone ed è stata arrestata per questo. L’anonima ragazza è diventata il simbolo di qualcosa più grande di lei e del suo gesto. “Giusto – dice Alinejad – perché l’obiettivo delle proteste è lo stesso. Un regime che controlla tutto, dall’economia alle libertà personali”.

Giusto certo, basta però non confondere le acque. Il velo, il chador e l’abbigliamento non sono la preoccupazione numero Uno delle iraniane oggi. Lo sono il lavoro, la possibilità di dare una vita migliore ai figli, i diritti umani in senso allargato. Leggere questa storia solo in termini di veli, come più di un osservatore ha fatto, sfruttando l’immagine della ragazza con l’hijab bianco, è riduttivo e patriarcale. Non stupisce che sia accaduto sui media italiani e non su quelli di lingua inglese.

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2 pensieri su “Iran, una rivolta (anche) delle donne, ma non contro il velo

  1. “da anni un gruppo di donne – per lo più provenienti da Teheran, per lo più appartenenti alla media-alta borghesia, per lo più molto esposte ai modelli occidentali ” sta insinuando che sono “serve dell’occidente”? Queste donne saranno anche una minoranza di borghese privilegiate ma sono le minoranze che portano avanti le battaglie per i diritti, e quella contro il velo obbligatorio è una battaglia giusta anche se sembra “occidentale” (che per me non è un difetto)

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