
Photo by Stefano Stranges
di Federica Tourn
Quando nell’estate del 2016 guidavo fra gli stretti tornanti dell’isola di Lesbo, in un paesaggio di roccia spaccato dal sole, con lo sguardo che vagava sullo stretto braccio di mare scintillante alla ricerca di un puntino, un barcone alla deriva, ero assillata dai numeri. Tanti ne sbarcavano, di siriani in fuga dalla guerra, bagnati fino alle ossa, in un silenzio che non avresti immaginato, e subito in qualche modo venivano registrati e ribattuti – ritwittati – da qualche agenzia, da ong, da fonti dei ministeri, dai sancta sanctorum europei, in accordo con il cane da guardia turco. Tanti ne arrivavano, di donne, uomini e bambini, tanti sarebbero dovuti tornare indietro, o redistribuiti in paesi malcontenti di farsene carico. Tanti, troppi ne morivano – e qui le notizie si facevano vaghe, il numero dei dispersi, lo sappiamo, si arrotonda sempre per difetto. Continua a leggere