Solo la Dea ci salverà

Dio_esiste_e_vive_a_Bruxelles_Pili_Groyne_foto_dal_film_2_middi Giorgia Serughetti

Mentre Junker e Renzi si scambiavano parole “maschie e virili”, e Sarri insultava Mancini, a colpi di “frocio”, “finocchio” e “vattelo a prendere nel c.” (a proposito, qual era la cultura che dovevamo insegnare ai selvaggi immigrati su donne e omosessuali?), io ho visto un film: Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael. Cosa c’entra? C’entra.

La pellicola del regista belga è una geniale rivisitazione della storia sacra che vede Dio, abbigliato alla Drugo de Il grande Lebowski, giocare con un personal computer anni ’90 da cui, ubriaco di whiskey, decide il buono e il cattivo tempo per le sue creature. Il figlio maschio di Dio, J. C., si è dileguato da tempo con la sua croce e contro la crudele tirannia del Padre l’unica speranza resta la figlia di dieci anni, Ea. Con la sua avventura sulla terra, alla scoperta di tristezze e fatiche degli esseri umani, la ragazzina divina non solo scriverà un “Nuovo-Nuovo Testamento”, ma determinerà la fine della legge del Padre e del suo corollario di distruzione, malvagità, sofferenza. Continua a leggere

Educazione e genere: la polemica non aiuta

genderdi Stefano Ciccone*

Che cos’è l’educazione sul genere?

Esiste un’educazione che oggi prescinda dal “genere”? No. Il genere come costruzione sociale organizza gerarchicamente le differenze, implica la complementarietà tra “femminile” e “maschile” e la negazione di orientamenti sessuali e affettivi diversi dalla norma eterosessuale. Siamo immersi in questo ordine al punto da percepirlo come naturale: come ci disgustano cibi o comportamenti considerati normali da altre culture, così ci mette a disagio vestire o indossare colori che culturalmente sono “propri” dell’altro sesso; ma anche nel nostro modo di sederci, di camminare corrispondiamo a posture maschili e femminili. Quando sentiamo imbarazzo o disagio per una postura, per un eccesso di intimità, per un senso di inadeguatezza, o quando ci gratifica il riconoscimento delle nostre qualità,  ne sperimentiamo la forza.

L’alternativa non è dunque se tenere conto o meno del genere a scuola, ma se assumerlo come un ordine invisibile e inconsapevole, e dunque immutabile, oppure se fare dei percorsi di apprendimento e delle relazioni pedagogiche un’occasione per una maggiore consapevolezza dei ruoli e i modelli di riferimento del nostro ordine di genere che è differente da quello di altre epoche e latitudini ma che noi naturalizziamo ed eternalizziamo. Continua a leggere

Cosa significa gender?

dubbiodi Gabriela Junqueira*

Quello del gender è diventato un argomento di discussione in tutto il mondo. Alcuni anni fa pochi sapevano di cosa si trattava, oggi invece sembra che che tutti abbiano un’opinione sul tema. C’è chi difende un approccio femminista alla questione. Secondo altre persone questa è una interpretazione sbagliata. Ma anche nel movimento femminista ci sono divergenze veramente importanti.

Cosa significa gender? Cosa vogliamo dire quando parliamo di gender? Come in ogni altro tipo di discussione, occorre definire i limiti del campo semantico se vogliamo un dibattito fecondo.

Io sto ancora provando a capire un po’ meglio la questione del gender. Ci sono tante informazioni, e non sempre affidabili.

Durante la mia ricerca sul tema ho visto un video molto interessante. È vero che fa una divisione forse troppo estremista tra femminismo liberale alla Judith Butler e femminismo radicale, lasciando fuori altre sfumature del femminismo. Ma nonostante ciò penso che sia un modo per far riflettere. Quindi vi invito a guardare il video e ad aiutarmi a capire meglio la discussione in corso, e il lato positivo e negativo in ogni punto di vista!

*Gabriela è una studentessa brasiliana in Italia in un programma di scambio con l’Università di Tor Vergata

Genere/Gender, una guerra in corso?

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Al tema genere/gender è dedicata Leggendaria del mese di marzo 2015.

Luciana Di Mauro e Silvia Neonato ci guidano attraverso le opinioni di Graziella Priulla, Monica Pasquino, Ilda Curti, Maria Vittoria Vittori, Lucia Vantini, Filomena Fotia mentre Cinzia Romano ci presenta i tre disegni di legge in qualche modo dedicati al tema, depositati da Celeste Costantino, Valeria Fedeli e Silvia Chimenti.

Come scrive Silvia Neonato, “Il paradosso è che la Strategia LGBT viene attuata nei campi della sicurezza, del lavoro e dei media, mentre è bloccata esclusivamente per l’istruzione. Così sono stati formati poliziotti, impiegati degli uffici del lavoro e giornalisti, ma non il personale della scuola.”

Attraverso le testimonianza di chi la differenza la pratica, scopriamo un mondo di esperienze, da Torino a Catania a Roma, in cui educare alla differenza e alle differenze è diventata prassi consolidata. Continua a leggere