di Caterina Botti

Photo by Andrea Piacquadio from Pexels
Dunque c’è questo evento nuovo per molti aspetti. Ne vorrei indagare uno.
Ci dicono di mantenere le distanze, di rinunciare alle relazioni, alla socialità, di stare a casa.
Vorrei provare a sostenere che, al contrario di quel che può sembrare a prima vista, mantenere le distanze può essere, o perfino è, un modo per accorciarle, per sentire vicino chi ci è lontano; che rinunciare alle relazioni in presenza, alla vicinanza fisica degli altri (per quanto si può), può essere un modo per sentirsi più in relazione con gli altri e non meno, per sentire la comunanza di una condizione, la sua dimensione per l’appunto comune o sociale, per non sentirsi sole e soli.
È una questione di sguardi, delle lenti con cui guardiamo il mondo e ciò che (ci) accade, delle parole con cui lo significhiamo.
E allora una circostanza straordinaria ci permette forse di recuperare quello sfondo così ordinario da risultare spesso invisibile, non visto, non detto, lo sfondo su cui si staglia la nostra singola esistenza, e cioè l’insieme delle relazioni che la rendono possibile. Diventa acutamente visibile, e dicibile, il fatto che dipendiamo gli/le uni/e dagli/lle altri/e, che nessuno vive o si salva da solo. Il che vuol dire anche – per girare in positivo ciò che di nuovo può essere letto a prima vista in modo negativo – che è in nostro potere, nel potere di ciascuno di noi, fare qualcosa per gli altri. Continua a leggere