di Chiara Anselmi
Non c’è scampo: ogni donna in età fertile che non si decida a procreare deve vedersela con opinioni non richieste sulle sue scelte: parenti, amici, conoscenti, perfetti estranei avranno qualcosa da obiettare.
Il discorso pubblico è intriso della retorica della madre: “la Patria ha bisogno di figli! Chi pagherà le nostre pensioni? Il crollo demografico è la prima causa della stagnazione dell’economia!” Chi non si riproduce è utile capro espiatorio dei mali della società. Associazioni ambientaliste britanniche provano a richiamare l’attenzione sul fatto che la crescita demografica globale vanifica qualunque pratica virtuosa per la salvaguardia del pianeta. Siamo troppi, consumiamo troppo, soprattutto nei paesi del primo mondo. Ma un sentimento diffuso -e incoraggiato- individua in ogni donna che non contribuisca alla riproduzione della stirpe una traditrice della comunità, la voce di chi sostiene l’autonomia di scelta in tema riproduttivo trova sempre pochissimo spazio.
Voce profonda, piena di dubbi e ambivalenze, che risuona invece nelle pagine di Maternità della scrittrice canadese Sheila Heti.
“Le donne devono avere bambini perché devono essere occupate. Quando penso a tutta la gente nel mondo che vuole vietare l’aborto, mi sembra che il senso possa essere uno solo: non è che vogliono una persona nuova al mondo, vogliono che le donne si occupino innanzitutto di tirare su i figli. C’è qualcosa di minaccioso in una donna che non è impegnata coi figli. Una donna del genere dà un senso di instabilità. Cos’altro si metterà a fare? Che razza di guai combinerà?”
La protagonista del romanzo -una prima persona anonima che condivide con l’autrice molti dati biografici- a trentasette anni è braccata dalla consapevolezza del declino della sua fertilità. Si sente schiacciata dall’urgenza di prendere una decisione: desidera un figlio? L’istinto materno, dipinto così spesso come un imperativo granitico e inequivocabile è per lei una fantasia elusiva. La risposta è un segreto che cela persino a sé stessa. Di fronte al mistero le speculazioni intellettuali aiutano ben poco: consulta gli oracoli, interroga i sogni, analizza i miti greci e le simbologie bibliche. Prova a giustificarsi: è un’artista, l’arte è il suo modo di essere fertile.
Se sei una donna, non puoi semplicemente dire che non vuoi un figlio. In alternativa devi avere qualche grande idea o progetto a cui dedicarti. E guai se non è qualcosa di straordinario. E guai se non sai raccontare in modo convincente -prima ancora che si svolga- come sarà il restante arco della tua vita.
Le dice una conoscente al termine di una delle innumerevoli conversazioni che intavola sull’argomento.
Tenta di partecipare -con malcelata irritazione- alla vita delle sue amiche madri, viviseziona la storia femminile della sua famiglia, precipita in crolli nervosi. Esasperata, si ripromette di devolvere tutto ciò che risparmia non dovendo mantenere un figlio a qualche associazione per il controllo delle nascite e in difesa del diritto di aborto.
Heti tratteggia una personalità vulnerabile e contraddittoria che suscita grande empatia, a prescindere dalle decisioni -e dalle ragioni che le hanno determinate- che ciascuna prende per sé. Servono coraggio e onestà per scandagliare il desiderio -o la sua assenza- per ciò che è diffusamente considerato l’evento più significativo nella vita di una donna. Nella scelta libera di dare origine a un’altra vita si deve accettare il conflitto non solo con il mondo esterno, ma anche con parti di sé: la propria genealogia, la propria personalissima ricerca del senso dell’esistenza.
“Oltretutto ci sono tanti tipi di vita da mettere al mondo, a parte la vera e propria vita umana. E ci sono bambini ovunque, e ovunque genitori che hanno bisogno di aiuto, e c’è tanto da fare, vite da sostenere che non sono necessariamente uguali a quelle che sceglieremmo noi, se dovessimo ricominciare tutto da capo. Tutto il mondo ha bisogno di cure materne (…) Ci sono dappertutto vite e doveri che aspettano disperatamente una madre. Questa madre potresti essere tu.”
Una lettura che riconcilia con l’essere figlie, essere/non essere madri, con le scelte diverse dalle nostre. Soprattutto fa sentire meno sole nel difficile compito di riconoscere il nostro autentico desiderio e metterlo in pratica. In una società in cui la maternità è quasi esclusivamente raccontata come un destino ineludibile e ovvio, è prezioso chi -con delicatezza, ironia e rispetto- rivendica il nostro sacrosanto diritto al dubbio.
Sheila Heti, Maternità, traduzione di Martina Testa, Sellerio, 16,00 euro
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ci sono uomini e donne che vogpiono dei figli, e uomini e donne che on vogliono figli. è sempre una libera scelta. nessun parente rompiscatole può obbligarci a fare un figlio se non vogliamo. Volere un figlio è ok, non volerlo è ok, è sempre un desiderio genuino
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