Aborto: la prossima guerra dell’America

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Foto Marco Verch Licenza Creative Commons

di Francesca Caferri

Il paradosso vuole che a sottoscrivere la dichiarazione di guerra sia stata una donna. Nella notte fra lunedì e martedì Kay Ivey, governatrice dell’Alabama, ha firmato la legge sull’aborto più restrittiva degli Stati Uniti: quando entrerà in vigore, fra sei mesi, nello Stato del Sud degli Usa sarà vietato abortire se non in caso di rischio comprovato per la vita della donna o di anomalia letale per il feto. Nessuna eccezione sarà fatta in caso di stupro o di incesto: i medici che praticheranno aborti al di là dei limiti previsti dalla legge rischieranno fino a 99 anni di carcere. “Questa legge serve a testimoniare in modo possente la profonda convinzione della gente dell’Alabama che ogni vita è preziosa ed è un dono sacro di Dio”, ha detto Ivey.

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Mentiva. E lo sapeva bene. La legge approvata dall’Alabama non è che un tassello nel lungo elenco di provvedimenti restrittivi che da anni negli Stati Uniti minacciano il diritto all’aborto delle donne, riconosciuto per tutta la nazione dalla sentenza della Corte Suprema del 1973 nota come Roe contro Wade, dove Roe era lo pseudonimo della giovane donna che si era rivolta ai magistrati per vedersi riconoscere il diritto all’aborto dopo essere rimasta incinta in seguito a uno stupro.

In realtà la legge approvata in Alabama serve a picconare questo diritto, mandando in soffitta appunto la sentenza Roe contro Wade. Ivey – e con lei i rappresentanti di altri Stati conservatori, come la Georgia e il Missouri – la useranno come grimaldello per arrivare fino alla Corte suprema, trascinati – che paradosso! – dai ricorsi che i gruppi liberal faranno contro la legge. Una volta arrivato nell’aula di Washington il destino del diritto di aborto, non solo in Alabama ma in tutti gli Stati Uniti, sarà nella maggioranza dei nove giudici che la compongono: cinque dei quali, dopo la nomina da parte del presidente Donald Trump di Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, sono conservatori. E in qualche caso – vedi Kavanaugh, che siede sullo scranno nonostante le accuse di molestie sessuali rivoltegli da una compagna di università – apertamente pro-life.

È per questo che quella di Kay Ivey è una vera e propria dichiarazione di guerra: nei prossimi mesi, l’America sarà chiamata a interrogarsi sul corpo delle donne e, attraverso le domande che rimbalzeranno su giornali e televisioni, sul Paese che vorrà essere in futuro. Con l’Alabama si schiereranno gli Stati del Sud, quelli centrali della Bible Belt, i gruppi di elettori ultra-conservatori che hanno regalato a Trump la Casa Bianca. Dall’altro lato ci saranno gli Stati delle coste, i progressisti, le associazioni femministe, buona parte del partito democratico guidato dalla superstar liberal Alexandra Ocasio-Ortez e appoggiato dai divi della musica e del cinema.

Una battaglia che sembra già vista, perché ricalcherà da vicino quella che nel 2016 portò alla sconfitta di Hillary Clinton nella corsa per la presidenza. Questa volta però le donne non potranno permettersi di perdere.

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