di Chiara Anselmi
Un concetto con il quale #metoo ha finalmente costretto tutti a familiarizzare è che esiste una violenza secondaria che le vittime di abusi sessuali si trovano a subire: l’estrema difficoltà di parlarne. Non trovare ascolto impedisce l’elaborazione del trauma, la ferita sembra non cicatrizzare mai.
Il perverso meccanismo sociale che induce le sopravvissute a vergognarsi di un abuso di cui sono vittime incolpevoli è raccontato con acutezza dal graphic novel Io sono Una (Becoming Unbecoming), dell’artista inglese Una, pubblicato in Italia da Add editore.
La vicenda si svolge tra il 1975 e il 1981 nel distretto di Leeds, Yorkshire: un uomo assassinò brutalmente 13 donne e ne ferì gravemente altre 9, dopo averle violentate. Le indagini della polizia -e il racconto dei media- si focalizzarono sul ‘killer delle prostitute’, nonostante alcune delle vittime non lo fossero affatto.
Nello stesso periodo l’adolescente protagonista del fumetto (e qui la storia diventa autobiografica) subisce molestie e aggressioni da uomini apparentemente innocui: conoscenti, incontri casuali. Mentre l’opinione pubblica viene convinta che esista un nesso tra la moralità delle aggredite e ciò che gli è accaduto, la giovane Una non smette di domandarsi cosa abbia sbagliato per meritare ciò che le accade.
‘Sembrava che voler uccidere alcune donne fosse accettabile, ma non altre’
“In qualunque modo guardassi la cosa, sembrava che fossi sia la causa sia l’effetto del problema. Un problema che non poteva essere nominato. Sapevo che non era così, ma era fuori dal mio controllo. […] Le parole mi avevano abbandonata”.
Non riuscirà a parlarne che da adulta Una, avvalendosi del disegno per districare la matassa di dolore e rabbia che l’ha soffocata per anni. In un memoir che alterna riflessioni intime a un’affilata analisi delle dinamiche sociali che colpevolizzano le donne mentre relativizzano le responsabilità degli uomini, il fumetto accompagna chi legge nella comprensione di cosa significhi crescere in una cultura in cui la violenza maschile non viene messa in discussione e resta impunita.
L’autrice tralascia la rappresentazione esplicita degli abusi privilegiando metafore visive degli stati emotivi che la violenza produce, il segno grafico è come cristallizzato all’età che Una aveva all’epoca dei fatti, evocando con efficacia l’impossibilità dell’elaborazione del trauma.
Le tavole di Io sono Una costruiscono un paesaggio in cui diventa impossibile ignorare la connessione tra il singolo episodio di violenza sulle donne e la struttura sociale all’interno della quale viene commesso.
La narrazione poetica, a tratti amaramente ironica, dell’artista è un segmento prezioso del racconto globale di una sopraffazione contro la quale tante donne stanno coraggiosamente alzando la voce.
Una
IO SONO UNA
traduzione di Marta Bertone
add, Torino 2018
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