Non è famiglia

di Viola Lo Moro

In un’altra vita ho scritto una tesi su due romanzi familiari, scritti a distanza di un secolo circa l’uno dall’altro: I Buddenbrook e Carne e Sangue. Per scriverne ho letto molti testi letterari e non solo che avevano a che fare con le famiglie, e con il modo in cui la loro narrazione fosse cambiata nel tempo e nei diversi contesti storici, sociali e geografici. Sono quindi particolarmente in difficoltà quando alle famiglie vengono associate qualità che richiamano un universo semantico immobile, eterno, naturale, stabile, aproblematico e scevro da ambivalenze di cui invece l’esperienza familiare di tutte e tutti – mi sentirei di affermare – è piena. Mi viene un gran prurito all’idea che per controbattere le affermazioni omofobe e lesbofobe del ministro Fontana si debba ricorrere alla retorica dell’amore e dei sentimenti, quando la realtà è più complessa di così. Ne capisco le ragioni ovviamente, ma mi sta stretta come una calza post operatoria.

Mi vengono allora in mente, oltre al vasto campo della letteratura, i lavori del femminismo sulla cura dell’altro/a e del mondo, le autoinchieste dei movimenti queer che rivelano la costellazione di relazioni che già costituiscono una comunità, i film e le serie tv che raccontano da anni le famiglie allargate, stiracchiate direi, del nostro tempo. Tutto questo però non basta a modificare la voce istituzionale del ministro della famiglia e disabilità – denominazione esilarante se fosse in un romanzo e non nella realtà – che, con un giro parossistico, torna a riproporre come vera e unica una famiglia che in effetti non esiste. E, ancora peggio, per sostenere il falso, nega le esperienze familiari esistenti.

La famiglia talvolta è sopportazione, è segreti, è idiosincrasie alimentari, è perdono, è violenza, è abbandono, è diritto di famiglia riformato, è sicurezza, è eredità, è destino, è coazione a ripetere, è stabilità, è cambiamento, è lutto, è cibo, è tornare a casa perché lei è casa, è scappare, è matrimonio, è divorzio, è crescere ed educare dei figli, è aspettare anni per riuscire ad adottarne, è la nascita della tragedia, è decidere che la famiglia siamo solo io, te e il gatto, è scegliere come famiglia le colleghe, è soprattutto – nella sua forma mononucleare – una grande novità nella storia dell’aggregazione umana. Una grande novità certamente non edificata da un sistema di sentimenti, ma piuttosto dalle condizioni sociali, politiche ed economiche della società (penso ai lavori di Chiara Saraceno, per esempio).

Si potrebbe andare avanti a lungo col dire cosa la famiglia sia oggi, cosa sia per ognuno e ognuna di noi, ma prima di farlo possiamo dire (anche al ministro) ciò che invece con il concetto e l’istituzione familiare ha poco a che fare. Possiamo iniziare anche noi a dire cosa non è famiglia. La famiglia non è l’eterosessualità. L’eterosessualità non è famiglia. Il campo semantico è proprio diverso.

L’eterosessualità è una pratica sessuale diffusa un po’ più delle altre per svariate ragioni (la maggior parte legate all’oppressione perdurata nei secoli di tutte le altre forme di sessualità), accettata come norma. L’eterosessualità è instabile, ha bisogno di conferme quotidiane attraverso regole e stereotipi faticose da sopportare sia per le donne che per gli uomini (se solo lo capissero), è una pratica che può essere per tutta la vita o solo per una fase, è una pratica che può portare alla riproduzione – questo è vero – ma solo talvolta viene agita per quello scopo, è una pratica che non ha nulla a che vedere se sarai o no un buon genitore, una buona amica, un bravo lavoratore.
Anche qui, qualcuno che ne sappia meglio di me si faccia avanti. Io per ora mi sentirei di rassicurare tutte e tutti con un’affermazione: non è l’eterosessualità a fare una famiglia. Aggiungete dove meglio credete un hashtag.

PS – Buon Pride a tutti e tutte. Che sia una festa, sì, ma che possa essere anche uno dei tanti inizi di una rivolta ironica e rabbiosa contro questi continui discorsi proclamati come veritieri, ma nella sostanza profondamente ridicoli.

PPS – Se lasciate libere le bambine e i bambini vi renderete conto che a loro di eterosessualità e di omosessualità non interessa affatto.

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3 pensieri su “Non è famiglia

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  2. l’eterosessualità non è una pratica sessuale, è un orientamento sessuale innato come è innata l’omosessualità e la bisessualità. ‘eterosessuaità è solo statisticamente più frequente di omosessualità e bisessualità perchè le persone eterosessuali sono numericamente un po’ di più (non centra l’oppressione, s nasce etero come si nasce gay o bisex). E non c’è nessuna farca: io non devo faticare per sentirmi attratto da una donna! E’ quello che sento! Così come uomini gay e donne lesbiche non devono faticare per sentirsi attratte da persone dello stesso sesso! E’ quello che provano! Non è una fase! Etero, gay o bisex non sono “fasi”,non sono “pratiche” sono orientamenti sessuali più o meno frequenti statisticamente ma innati.

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