di Chiara Anselmi
Sono fortunata, non ho mai avuto alcun problema a parlare del mio flusso mestruale in famiglia, con le amiche o con i miei partner. Sarà per questo che leggendo in metropolitana il libro di Elise Thiébaut Questo è il mio sangue, Manifesto contro il tabù delle mestruazioni, sulla cui copertina italiana campeggia un assorbente interno (immacolato) su sfondo rosso sangue, ci ho messo qualche minuto a capire come mai le mie compagne e i miei compagni di viaggio mi osservassero con un misto di imbarazzo e curiosità.
In effetti non è proprio una cosa della quale ci si aspetti che una parli con disinvoltura, ma è esattamente quello che il saggio ci invita a fare.
La giornalista francese che l’ha pensato a lungo – e si è risolta a scriverlo quando ormai era in menopausa – ci accompagna attraverso un excursus antropologico, medico, storico, artistico ed ecologico alla scoperta di quella che è una delle esperienze più comuni per la metà femminile della popolazione mondiale durante circa quarant’anni della vita.
Se l’Homo sapiens ha trovato mille espedienti per proteggersi dal freddo, dalla fame, dalla malattia o dagli incerti della natura, se ha saputo esplorare e colonizzare tutte le terre, viaggiare nell’universo e inventare armi sofisticate per uccidere i suoi simili, è inevitabile constatare che riguardo alle mestruazioni è rimasto spesso nel registro dell’irrazionale. (…) Proprio perché il sangue mestruale è un tabù le donne soffrono senza rimedio da millenni. Proprio perché il sangue mestruale è un tabù per tanti anni si è impedito loro di fare il marinaio, cacciare, votare o essere elette, parlare in pubblico o assumere responsabilità politiche o religiose.
Nel corso della vita di una donna ci sono più o meno 2400 giorni caratterizzati dal mestruo, il mercato globale annuo della protezione periodica (assorbenti, tamponi, coppette e simili) è stimato intorno ai trenta miliardi di dollari, ventisei miliardi di euro. Calcolo che io non sono in grado di verificare a dispetto del fatto che – come ho scoperto dal libro – l’etnomatematico John Kellermeier e la filosofa Judy Graham abbiano elaborato una teoria secondo la quale la matematica sarebbe stata inventata dalle donne per la necessità di tenere il conto dei cicli mestruali. Ma io in aritmetica sono sempre stata scarsa.
Nonostante l’enorme giro di affari e il pubblico potenzialmente inesauribile di consumatrici la sicurezza dei materiali con i quali i tamponi e gli assorbenti sono fabbricati non è soggetta ai controlli ferrei cui vengono sottoposti i prodotti alimentari. Lunghe sono state le battaglie che le donne hanno dovuto combattere perché si cominciasse a parlare seriamente della sindrome da shock tossico associata all’uso di tamponi vaginali, in alcuni dei quali sono state rinvenute sostanze potenzialmente cancerogene come la diossina.
Le protezioni ‘usa e getta’ che hanno indiscutibilmente liberato le donne da seri problemi igienici sono pur sempre alla base di una produzione di rifiuti che potrebbe essere enormemente ridimensionata se la coppetta mestruale in silicone (lavabile e riutilizzabile per anni) fosse maggiormente diffusa. In effetti sono anni che mi domando perché, oltre alla sacrosanta battaglia per abbassare le tasse sugli assorbenti dal 22% a zero o almeno al 4% come gli altri generi di prima necessità, non conduciamo contemporaneamente una campagna per l’installazione di piccoli lavabo nei WC femminili in luoghi di lavoro, scuole e università, per rendere la coppetta effettivamente utilizzabile da quella moltitudine di donne che sta fuori casa tutto il giorno e non è certo incoraggiata a farne uso non avendo la possibilità di sciacquarla nella riservatezza di un bagno privato.
La storia delle mestruazioni, raccontata in modo brillante da Thiébaut, ha attraversato fasi contraddittorie di timore e venerazione o di disgusto e vergogna. Ha prodotto esclusione, esorcismi, bizzarre superstizioni tra cui quella secondo cui le donne mestruate farebbero seccare i raccolti (mentre si è scoperto che il sangue uterino è ricchissimo di cellule staminali pluripotenti molto promettenti per la ricerca medica). Le campionesse di questa estenuante maratona per il diritto a sanguinare sono artiste e atlete militanti come la performer egiziana Aliaa Magda Elmahdy che ha pubblicato su Facebook una sua foto nuda che sparge il suo sangue su una bandiera dell’Isis, o l’indo-americana Kiran Gandhi che ha corso la maratona di Londra del 2015 durante il ciclo senza indossare tamponi o assorbenti. Qualche giorno prima l’artista indo-canadese Rupi Kaur si era vista censurare da Instagram una foto in cui era ripresa di spalle, sdraiata sul letto, col pigiama macchiato di rosso all’altezza del cavallo dei pantaloni.
Nella parte conclusiva il libro diventa quasi un memoir, Thiébaut racconta la sua esperienza dolorosa con l’endometriosi: malattia diffusissima, invalidante e quasi sempre diagnosticata con molto ritardo che può condurre alla sterilità. La ricerca di una possibile cura di questa patologia non dispone neppure lontanamente dei finanziamenti destinati a quella sui farmaci per la disfunzione erettile.
Leggendo continuava a tornarmi in mente una battuta del cartone animato più politicamente scorretto degli ultimi anni: South Park, in cui uno dei personaggi dice: ‘Non mi fido di chi sanguina per 5 giorni e poi non muore’. Ecco, contro questa diffidenza ignorante l’ironia e l’accuratezza scientifica di questo libro possono venirci in aiuto.
Elise Thiébaut
Questo è il mio sangue, Manifesto contro il tabù delle mestruazioni
Traduzione di Margherita Botto
Einaudi